"Quando perdi, non perdere la lezione".
Sono delle bellissime parole scritte dal Dalai Lama.
Nei mie precedenti post ho sempre scritto che l'epilessia va combattuta su tutti i fronti e con tutti i mezzi a nostra disposizione. Che dobbiamo diventare guerrieri.
Ma negli ultimi dieci giorni la guerra è stata dura e spietata, per me. Non ne vedevo mai la fine, infatti il guerriero che viveva in me è stato battuto, schiacciato ed umiliato dalla malattia. Il guerriero era diventato l'ombra di se stesso, un'ombra sbiadita e cedevole.
Non combattevo più, mi ero chiuso, ero diventato introverso, quasi muto. Nulla per me aveva una ragione e continuavo a pensare, pensare, pensare; pensavo talmente tanto che poi alla fine non ricordavo nulla.
Avevo chiuso il mondo intorno a me, ero arrivato persino a chiedermi perchè la malattia avesse colpito proprio me invece di qualche altra persona; un pensiero che, non mi vergogno a scriverlo, è di una cattiveria e meschinità inaudita, eppure è così, ero diventato cattivo, cattivo anche nei confronti delle persone intorno a me che nonostante tutto mi stavano vicino.
In queste situazioni non è l'epilessia il problema, ma sei tu e non ti accorgi di questo, continui imperterrito il cammino nel tuo mondo delirante e tutto quello che esiste e vive intorno a te è il problema del tuo problema, è colpa di tutto e di tutti, di certo non tua.
Non parli, non vuoi uscire, se esci le persone ti danno fastidio, vuoi solo stare a casa e mandare a fanculo tutto il mondo. Quanta rabbia. Chi ti chiede "come stai, oggi" lo prenderesti a pugni per farlo tacere. Che follia dentro di me.

Davide
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