giovedì 28 giugno 2018

Al tronco

Epilessia e sogni
Casa nostra in quegli anni non era così distante, ma c’erano un paio di moderne scorciatoie asfaltate in meno, e per raggiungere la solita meta d’ogni sabato dovevamo percorrere in bici un tratto più trafficato. Mio padre era già là a tirare palle e a tirar su terra rossa con le scarpe.

Il grande cancello era sempre aperto, notte e giorno, e pochi metri più avanti presentava, disteso su alcuni mattoni, un tronco di quercia, tagliato orizzontalmente. Anni prima doveva essere stato una sorta di appoggio per le biciclette, che invece ora si potevano mettere in una piccola rastrelliera. Più avanti, lungo i campi da tennis, si estendeva il parcheggio per le auto.
Il tronco era sempre al buio, complice anche le alte siepi, ed era strano, perché l’intero complesso era illuminato come un piccolo stadio.
Al tronco giocavamo noi figli, mentre i genitori, sotto l’ampio pergolato, giocavano a carte e poco più in là vibravano le racchette. Era solo un grosso pezzo di legno, ma nei giochi d’inventiva poteva servire a molti scopi. Una volta era una barriera, il sabato dopo l’unica salvezza per attraversare un pericoloso guado. E così via.
Il nostro strepitare e saltare fra le ultime lucciole rifugiate era visibile e udibile ai grandi, che potevano tenerci sotto controllo. Capitavano ovviamente gli screzi, i pianti o i piccoli infortuni, e l’adulto preposto (ovvero colei che aveva in carico il combinaguai del momento) si precipitava al tronco, e noi muti ad aspettare la ramanzina che era per uno e valeva per tutti. Ma la lavata di capo era sempre lapidaria, sintetica e perfettamente comprensibile a ogni bambino: gioca bene.
Lo dovessi tradurre, ora che sono più vecchio di mia madre all’epoca e un po’ lo capisco, penso suonerebbe più o meno così: non so cosa stai facendo e perché state litigando, francamente non mi interessa, ma vedi di sistemare questa cosa e di non combinare altri guai, che non voglio tornare ancora una volta qui, altrimenti lo dico a tuo padre quando smette di giocareE non correre. E non sudare.
Gioca bene.
Con un biondo un po’ diverso ma con lo stesso sguardo severo mia madre mi ha guardato tanti anni dopo, incapace di elaborare il mio stato d’animo. Mi ero già ammalato e avevo la testa rasata e lucida, pronto per il giorno successivo. In quel fissarmi atterrito e sì, anche scocciato, ho visto la preoccupazione per qualcosa che non capiva e si rifiutava di capire. Un gigantesco imprevisto che la stava tenendo lontana dal suo chinotto con ghiaccio al tavolo, per quanto mi fissasse il gioca bene non stava funzionando, non aveva la certezza che mi sarei asciugato le lacrime per tornare a inventare avventure.
E mi ha guardato così molte altre volte, in un vano tentativo di controllo. Io cadevo dal tronco mentre imitavo Mazinga e lei a dirmi gioca bene. Ma io continuavo a cadere, e ancora e ancora e ancora, mentre la sua coppa del nonno si scioglieva e le amiche si allontanavano. Ho visto la sua delusione per un futuro che secondo lei non avrei avuto, fermo lì, al buio e in mezzo a tanti.
Ma il tempo non ha davvero smesso di scorrere, e i miei sogni sono cresciuti e a volte nati. Non sono diventato la persona che sognavano i miei genitori, ma probabilmente non sarebbe mai accaduto. La paura e l’istinto di protezione possono oscurare i dettagli, possono non far notare quella volta che dal tronco sono caduto e ho sbattuto la faccia, ma con la mano ho segnalato un tuttapposto!
E in quel gesto ci sono io (noi), con lo sforzo e il dolore per non essere costantemente un peso. Ci sono gli obbiettivi che ho raggiunto e quelli falliti in modo clamoroso e patetico, c’è l’amore, il bisogno di sesso, di denaro e affermazione. C’è una risolutezza nata dall’aver attraversato templi maledetti e affrontato mostri spaziali, solo che da fuori siamo sempre quelli piccoli, con i capelli sudati e le croste un po’ ovunque.
Anche io, però, fra le preoccupazioni e i razzi fotonici, non mi sono accorto che adesso mamma non è più in controluce a ridosso del pergolato, ma è seduta sul tronco, e si è portata il gelato.
Giochiamo bene.

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