Epilessia.
No, iniziamo con la parola giusta: epilessiE.
Si, è
così, una parola che affonda le sue radici lontano nel tempi ..
Se
pensiamo al passato delle epilessie e a come venivano percepite,
giudicate, non comprese e curate, sinceramente è meglio guardare
avanti o nel presente.
Tuttavia
anche oggi non è così semplice o lineare avere a che fare con
questa condizione.
La
“mia” epilessia ha avuto il suo esordio nel 2014, avevo 47 anni.
Fino a quel momento anni passati “normalmente”: un buon lavoro,
un grande amore (che ancora oggi, dopo cinque anni, è al mio
fianco e mi sostiene), sport, amici, viaggi. Posso dire senza ombra
di dubbio una qualità della vita molto buona.
Poi, arriva lei, la patologia cronica,
la malattia maledetta.
Non è stato facile arrivare ad una
diagnosi, ma poi alla fine della giostra, dopo numerosi esami,
visite, accertamenti vari, eccola lì, la famosa parola “epilessia”,
scritta nero su bianco.
Intanto il tempo passava e più
scorreva via più la mia patologia diventava grave. Inizialmente,
dopo la diagnosi, ho solamente pensato che mi sarebbe bastata la mia
terapia per tenere a bada il tutto, ma non è stato così. Un solo
farmaco non serviva a tenere sotto controllo le crisi, che con il
passare del tempo erano diventate più violente. Allora prendi due
farmaci, poi tre, poi quattro. Poi ne togli uno e ne metti un altro,
una vera girandola farmacologica, un frullatore..
Peraltro con tutti i problemi sociali
che la patologia si porta dietro. Perdi l'indipendenza, l'autonomia,
la libertà anche solo di andare a fare la spesa al supermercato. La
patente e di conseguenza l'uso della macchina sono sospesi
(giustamente). Al lavoro vengo accompagnato, ma anche lì iniziano i
problemi. Ho lavorato nell'ambito alberghiero per più di 30 anni, ma
con l'epilessia tutto è diventato più difficile. Dopo poche ore
mancanza di lucidità, sonnolenza, stanchezza. Nell'ambito lavorativo
ero diventato un peso. La perdita del lavoro per me è stato come
spararmi ed uccidermi.
Anno dopo anno, ti ritrovi in casa con
un caschetto in testa e un frullare di idee infinite ed inutili. In
tutto questo c'è anche la tua famiglia che ti vede cambiare, un
giorno sei contento, il giorno dopo sei muto. Si susseguono le crisi,
i ricoveri in ospedale, le cadute, i tagli, le fratture, le
scottature, i traumi cranici e chi ne ha più ne metta.. una triste
routine che entra a fare parte della tua vita. Assurdo, se ci
pensate.
In cinque anni la malattia mi ha
lentamente ma inesorabilmente mangiato il mio “essere”. Questa,
badate bene, è solo la mia storia. Fortunatamente non è uguale per
tutti, anzi, la maggior parte delle persone affette da epilessia,
assumendo la terapia, vive una vita serena e tranquilla.
Io ho capito che la mia vita non
sarebbe stata più serena e tranquilla quando, ancora scritto nero su
bianco, mi dicono che sono farmacoresistente.
Per quanto mi riguarda quella parola ha
voluto dire, tradotto nella vita reale, fare guerra e diventare un
combattente. Mettere in campo tutto quello che mi era possibile per
contrastare la malattia. E' una guerra mentale, la malattia ti mangia
, come detto prima, ti mangia lentamente, quasi non te ne accorgi.
Poi un giorno ti svegli e ti rendi conto che nella tua vita ci sono
cassetti vuoti, armadi vuoti. Tutti vuoti che sono diventati vittorie
della patologia. Eppure tu dici a te stesso che insieme ai medici,
alla terapia farmacologica, al tuo voler resistere e combattere la
malattia ne hai provate di tutti i colori. Non hai lasciato nulla di
intentato, non hai mai sgarrato una pastiglia, non sei un “fai da
te della medicina”. Che cosa non ha funzionato? Anzi per meglio
dire che cosa non funziona. Come tutte le persone affette da questa
malattia sei stato un girovago di ospedali e epilettologi. Ma le
risposte erano sempre quelle: “Quello che fai è giusto”. Se è
giusto, perché ho le crisi? Che cosa devo cercare di nuovo?
Questa è la domanda che ultimamente mi
pongo. Forse è la qualità della mia vita, anzi, per meglio dire la
non qualità della mia vita che aiuta la mia patologia? Forse prendo
troppi farmaci? Che mi rendono nervoso, addormentato, irascibile..?
Forse è il mio isolamento, il mio non fare, il mio non “essere”
il Davide che ero?
Ultimamente
d'accordo con la mia epilettologa sto tentando un percorso diverso
(senza mai scordarsi la terapia farmacologica) e sto lavorando in
collaborazione con una psicologa. Potremmo dire un lavoro
multidisciplinare. In sostanza credo che vi siano molte lacune che la
medicina moderna non è ancora riuscita a colmare, riguardo a
procedure terapeutiche, psicologiche e farmacologiche. Mi riferisco
alla ricerca che viene condotta sia a livello nazionale che mondiale.
Questo credo sia il nostro futuro che porterà alla cura sia delle
epilessie ma anche di altre malattie. Seguo molto attentamente quello
che viene scoperto e credetemi ogni giorno potete trovare un nuovo
articolo che parla di epilessie e nuove cure. Non sono un medico, non
posso giudicare ciò che leggo, non ho nessuna competenza in merito,
ma il solo leggere o trovare qualcosa di nuovo mi da speranza per le
future generazioni.
Vivere la mia epilessia e non
sopravvivere ad essa, magari togliendo anche qualche farmaco. Un
lavoro lungo, difficile. Piccoli passi e piccoli traguardi da
raggiungere che magari ti possono togliere una mezza pastiglia qua e
là. Io non conosco come andrà a finire questo iter clinico, ma
sicuramente mi piace. Sono consapevole della mia patologia, sono
consapevole che non potrà sparire. A dire il vero mi sono sempre
chiesto come mai quando ad una persona in età adulta viene
diagnosticata la malattia non venga affiancato uno psicologo o almeno
venga proposto. Fate attenzione però, non è chi ha la malattia che
si accorge di avere bisogno di un aiuto psicologico, solitamente sono
i famigliari. A mio avviso basterebbe, a volte, dipende sempre dal
quadro clinico, uno psicologo che con molta semplicità ti da un
indirizzo o un numero telefonico dove tu puoi appoggiarti
semplicemente ad un gruppo di mutuo auto-aiuto (serio ) e/o una
associazione.
Anche solo questo è uno di quei famosi
piccoli passi che possono aiutare. Io scrivo piccoli, ma credetemi
sono giganteschi.
Tutte queste parole sembrano
un'equazione di Einstein:
Qualche medicina in meno + qualche
parola in più = una qualità della vita migliore.
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