mercoledì 12 giugno 2019

Proviamo, meno farmaci e più qualità della vita.



Epilessia. No, iniziamo con la parola giusta: epilessiE.
Si, è così, una parola che affonda le sue radici lontano nel tempi ..
Se pensiamo al passato delle epilessie e a come venivano percepite, giudicate, non comprese e curate, sinceramente è meglio guardare avanti o nel presente.
Tuttavia anche oggi non è così semplice o lineare avere a che fare con questa condizione.
La “mia” epilessia ha avuto il suo esordio nel 2014, avevo 47 anni. Fino a quel momento anni passati “normalmente”: un buon lavoro, un grande amore (che ancora oggi, dopo cinque anni, è al mio fianco e mi sostiene), sport, amici, viaggi. Posso dire senza ombra di dubbio una qualità della vita molto buona.
Poi, arriva lei, la patologia cronica, la malattia maledetta.
Non è stato facile arrivare ad una diagnosi, ma poi alla fine della giostra, dopo numerosi esami, visite, accertamenti vari, eccola lì, la famosa parola “epilessia”, scritta nero su bianco.
Intanto il tempo passava e più scorreva via più la mia patologia diventava grave. Inizialmente, dopo la diagnosi, ho solamente pensato che mi sarebbe bastata la mia terapia per tenere a bada il tutto, ma non è stato così. Un solo farmaco non serviva a tenere sotto controllo le crisi, che con il passare del tempo erano diventate più violente. Allora prendi due farmaci, poi tre, poi quattro. Poi ne togli uno e ne metti un altro, una vera girandola farmacologica, un frullatore..
Peraltro con tutti i problemi sociali che la patologia si porta dietro. Perdi l'indipendenza, l'autonomia, la libertà anche solo di andare a fare la spesa al supermercato. La patente e di conseguenza l'uso della macchina sono sospesi (giustamente). Al lavoro vengo accompagnato, ma anche lì iniziano i problemi. Ho lavorato nell'ambito alberghiero per più di 30 anni, ma con l'epilessia tutto è diventato più difficile. Dopo poche ore mancanza di lucidità, sonnolenza, stanchezza. Nell'ambito lavorativo ero diventato un peso. La perdita del lavoro per me è stato come spararmi ed uccidermi.
Anno dopo anno, ti ritrovi in casa con un caschetto in testa e un frullare di idee infinite ed inutili. In tutto questo c'è anche la tua famiglia che ti vede cambiare, un giorno sei contento, il giorno dopo sei muto. Si susseguono le crisi, i ricoveri in ospedale, le cadute, i tagli, le fratture, le scottature, i traumi cranici e chi ne ha più ne metta.. una triste routine che entra a fare parte della tua vita. Assurdo, se ci pensate.
In cinque anni la malattia mi ha lentamente ma inesorabilmente mangiato il mio “essere”. Questa, badate bene, è solo la mia storia. Fortunatamente non è uguale per tutti, anzi, la maggior parte delle persone affette da epilessia, assumendo la terapia, vive una vita serena e tranquilla.
Io ho capito che la mia vita non sarebbe stata più serena e tranquilla quando, ancora scritto nero su bianco, mi dicono che sono farmacoresistente.
Per quanto mi riguarda quella parola ha voluto dire, tradotto nella vita reale, fare guerra e diventare un combattente. Mettere in campo tutto quello che mi era possibile per contrastare la malattia. E' una guerra mentale, la malattia ti mangia , come detto prima, ti mangia lentamente, quasi non te ne accorgi. Poi un giorno ti svegli e ti rendi conto che nella tua vita ci sono cassetti vuoti, armadi vuoti. Tutti vuoti che sono diventati vittorie della patologia. Eppure tu dici a te stesso che insieme ai medici, alla terapia farmacologica, al tuo voler resistere e combattere la malattia ne hai provate di tutti i colori. Non hai lasciato nulla di intentato, non hai mai sgarrato una pastiglia, non sei un “fai da te della medicina”. Che cosa non ha funzionato? Anzi per meglio dire che cosa non funziona. Come tutte le persone affette da questa malattia sei stato un girovago di ospedali e epilettologi. Ma le risposte erano sempre quelle: “Quello che fai è giusto”. Se è giusto, perché ho le crisi? Che cosa devo cercare di nuovo?
Questa è la domanda che ultimamente mi pongo. Forse è la qualità della mia vita, anzi, per meglio dire la non qualità della mia vita che aiuta la mia patologia? Forse prendo troppi farmaci? Che mi rendono nervoso, addormentato, irascibile..? Forse è il mio isolamento, il mio non fare, il mio non “essere” il Davide che ero?
Ultimamente d'accordo con la mia epilettologa sto tentando un percorso diverso (senza mai scordarsi la terapia farmacologica) e sto lavorando in collaborazione con una psicologa. Potremmo dire un lavoro multidisciplinare. In sostanza credo che vi siano molte lacune che la medicina moderna non è ancora riuscita a colmare, riguardo a procedure terapeutiche, psicologiche e farmacologiche. Mi riferisco alla ricerca che viene condotta sia a livello nazionale che mondiale. Questo credo sia il nostro futuro che porterà alla cura sia delle epilessie ma anche di altre malattie. Seguo molto attentamente quello che viene scoperto e credetemi ogni giorno potete trovare un nuovo articolo che parla di epilessie e nuove cure. Non sono un medico, non posso giudicare ciò che leggo, non ho nessuna competenza in merito, ma il solo leggere o trovare qualcosa di nuovo mi da speranza per le future generazioni.
Vivere la mia epilessia e non sopravvivere ad essa, magari togliendo anche qualche farmaco. Un lavoro lungo, difficile. Piccoli passi e piccoli traguardi da raggiungere che magari ti possono togliere una mezza pastiglia qua e là. Io non conosco come andrà a finire questo iter clinico, ma sicuramente mi piace. Sono consapevole della mia patologia, sono consapevole che non potrà sparire. A dire il vero mi sono sempre chiesto come mai quando ad una persona in età adulta viene diagnosticata la malattia non venga affiancato uno psicologo o almeno venga proposto. Fate attenzione però, non è chi ha la malattia che si accorge di avere bisogno di un aiuto psicologico, solitamente sono i famigliari. A mio avviso basterebbe, a volte, dipende sempre dal quadro clinico, uno psicologo che con molta semplicità ti da un indirizzo o un numero telefonico dove tu puoi appoggiarti semplicemente ad un gruppo di mutuo auto-aiuto (serio ) e/o una associazione.
Anche solo questo è uno di quei famosi piccoli passi che possono aiutare. Io scrivo piccoli, ma credetemi sono giganteschi.
Tutte queste parole sembrano un'equazione di Einstein:

Qualche medicina in meno + qualche parola in più = una qualità della vita migliore.



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